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Vestirsi per lo smart working puntando alla comunicazione

  • 4 Dicembre 2020
  • By Paola Pizza
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Vestirsi per lo smart working puntando alla comunicazione

Periodo di smart working e di dubbi su come vestirsi. Lavorare da casa cambia tutte le carte in tavola e richiede nuove competenze comunicative. Sai come vestirti per lo smart working per raggiungere con più efficacia gli obiettivi? Sai cambiare l’abbigliamento, anche stando in casa, in funzione dei tuoi diversi ruoli?

In questo periodo in cui ci percepiamo soltanto in relazione all’ambiente fisico della casa e alla dimensione privata, finiamo per dimenticare il nostro Sé Pubblico che deriva dalle interazioni con gli altri. Con l’abbigliamento comodo e rilassato indossato per tutto il giorno, molti si sentono spogliati della propria identità e non riescono più a comunicare chi sono. Siamo passati da una immagine curata e mirata al raggiungimento degli obiettivi sul lavoro e da un look modaiolo con i tacchi 12 per le uscite serali, alla tuta e ai sabot dalla mattina alla sera.

Ne ho parlato a RAI 2 e in radio

Ho parlato di abbigliamento confortevole e smart working a TG2 Italia su RAI 2, con la conduttrice Marzia Roncacci, il 4 dicembre 2020 alle h 10. Clicca qui per vedere la mia intervista

Ho parlato di come vestirsi durante lo Smart Working anche a Radio Cusano Campus (Università Niccolò Cusano). Clicca qui per ascoltare l’intervista

 

I miei consigli su come vestirsi per lo smart working?

Non indulgere nell’abbigliamento confortevole rinunciando ad esprimere i diversi Sé, e soprattutto il Sé lavorativo.

Per sentirsi più forti e recuperare autostima il mio primo consiglio è quello di non rinunciare mai a curare il proprio aspetto; il secondo è quello di organizzare il proprio look in base agli obiettivi dei diversi momenti della giornata. Imparate a usare i diversi sé anche in casa.

Il nostro benessere e la nostra efficacia passano anche attraverso gli abiti, gli accessori e i colori che indossiamo quando lavoriamo da casa.

Cosa rappresenta la casa

Quando si chiude la porta di casa si entra in una nuova dimensione, si lascia fuori il mondo e ci si rifugia nella protezione del privato. È come se entrando in casa si cambiasse identità. Lasciamo fuori il nostro Sé lavorativo o mondano, togliamo gli abiti e gli accessori che abbiamo scelto per comunicare chi siamo e influenzare l’idea che gli altri hanno di noi, e lasciamo emergere il nostro Sé privato, più indifeso e libero, e talvolta anche più tenero e affettivo, con abiti più morbidi, più destrutturati, più infantili e con pochi accessori. Tutto ciò funziona come antistress, quando appunto è uno spazio riservato per noi e per i nostri affetti. È un modo per delimitare il nostro spazio di privacy separando la nostra immagine privata dall’immagine pubblica. Molti entrando in casa tolgono ciò che hanno indossato fuori.  È una separazione tra dentro e fuori. Ma cosa succede quando le carte si mescolano e in casa si svolge anche un ruolo lavorativo?

Cosa cambia quando dobbiamo lavorare da casa. Vestirsi per lo smart working

Con il Covid e lo smart working  la casa diventa il palcoscenico dei Sé che normalmente esprimiamo all’esterno. Privato e pubblico si confondono. In casa ci rilassiamo, giochiamo coi i figli e con gli amici a quattro zampe, ci prendiamo cura degli altri, e nello stesso tempo lavoriamo, partecipiamo a riunioni, parliamo con clienti e a sera ci vediamo con gli amici on line.

Alcuni a casa smarriscono la capacità di comunicare i propri ruoli esterni, e il loro Sé privato prevale sul Sé interpersonale. Quando questo accade gli abiti e le scarpe sono comode e confortevoli ed esprimono soltanto il Sé privato. A casa non riescono ad esprimere con il corpo e, con gli abiti e gli accessori che lo rivestono, i diversi ruoli che compongono l’identità. L’impossibilità a cambiare contesto inibisce la loro capacità di esprimersi.

Le false credenze che vanno ridiscusse quando si lavora da casa

I problemi che ho osservato ed ho ascoltato come psicologa della moda in questo periodo sono vari e derivano da alcune false credenze che vanno ridiscusse se vogliamo recuperare autostima, benessere ed efficacia lavorativa durante lo smart working

  • Credenza 1 – In casa si deve stare sempre comodi anche mentre si lavora

Spesso il confine tra comodità e trascuratezza è sottile. Come diceva Karl Lagerfeld quando si indossano i pantaloni della tuta, si perde la consapevolezza di sé. Per il tempo libero e il relax vanno bene le tute (a patto che siano stilose) e l’abbigliamento confortevole, ma quando si lavora l’obiettivo è un altro, ed è bene rendersene conto. Si deve raggiungere una meta, svolgere un compito, convincere, guidare. Le domande sono: qual è il tuo ruolo? qual è la tua azienda? Quali sono le tue competenze? Sai esprimerle con gli abiti, gli accessori e i colori?

Abbiamo visto persone condurre riunioni e presentare proposte con i capelli scarmigliati, assenza di trucco, tute da ginnastica, golfoni corazza.  Alcuni hanno ammesso di non togliere il pigiama e di stare a piedi nudi o con pantofole o ugg.  Ho visto la foto di una discussione di tesi on line con la candidata vestita di tutto punto, ma con ai piedi pantofole rosa! Ho fatto lezioni a distanza in una scuola manageriale, normalmente molto attenta al look, con studenti in felpa seduti comodamente sul letto. Tutto ciò è inaccettabile quando si lavora a contatto con gli altri, anche se si è a casa. Gli altri ci guardano, anche attraverso lo schermo, e si fanno un’idea di noi e del nostro valore attraverso le informazioni che veicoliamo.

Nessuno si sognerebbe di vestirsi così in azienda, all’università o in qualsiasi altro contesto lavorativo, perché fuori si percepisce il giudizio del altri e ci si adegua alle attese sociali. Attenzione allora a non perdere di vista gli obiettivi, e a mantenere la consapevolezza della propria comunicazione. Anche se attraverso un monitor gli altri ci osservano.

 

  • Credenza 2 – Libertà di non curarsi. In casa posso essere me stessa

In casa molti si rilassano proprio perché non si sentono più giudicati dagli altri. Non avvertono la pressione dei modelli sociali prevalenti a cui doversi conformare, e in questo modo si sentono liberi dall’ansia per la propria immagine e il proprio corpo. Lasciano gli altri fuori e si rifugiano nel privato, avvertito come molto più rassicurante.

Ma quando si lavora da remoto questa è soltanto una fantasia. Gli altri ci guardano e si creano delle prime impressioni su di noi e sulle nostre competenze in base a ciò che vedono attraverso il monitor. Il nostro stile di abbigliamento comunica chi siamo. Sappi che lo stile rilassato ci mostra indifesi e un po’ bambini. Dobbiamo quindi curare attentamente la nostra immagine per raggiungere meglio i nostri obiettivi. Quando si lavora in smart working occorre ancora più attenzione perché on line la nostra immagine è statica e possiamo puntare solo su una parte limitata del corpo (il volto, le spalle, il busto).

Ma la cosa ancora più importante è che conosciamo noi stessi attraverso la nostra immagine riflessa. Il nostro stile di abbigliamento condiziona le nostre emozioni. Difficili sentirsi autorevoli e competenti in golf over size e pantofole. Che dire poi di questo abbigliamento se vogliamo sentirci sexy durante una serata?

Diverse persone, in questa orgia di apparente libertà, si sentono privati della loro identità e perciò più vulnerabili e meno interessanti.

 

I consigli della psicologa della moda su come vestirsi per lo smart working puntando alla comunicazione di sé

 

Vuoi sentirti competente e determinata nel lavoro?

Mai dimenticare che chi lavora comunica non solo le proprie competenze e il proprio ruolo, ma anche l’immagine dell’azienda. Quindi look curato particolarmente nella parte visibile on line, con trucco, pettinatura, accessori e colori, e altrettanto curato nella parte sotto il tavolo o la scrivania. D’accordo che gli altri non vedono questa parte del nostro corpo, ma noi si, e questo influenza la nostra autopercezione. Molto difficile fare un discorso autorevole (e sentirsi autorevoli!) con ai piedi un paio di pantofole di peluche o indossando dei pantaloni informi. Altrettanto difficile assumere una postura decisa e affidabile, con questo tipo di abbigliamento.

Assolutamente no a pantofole, ugg o piedi nudi quando si lavora. Sì ai tacchi (non necessariamente 12) che aumentano la consapevolezza di sé e del proprio corpo, fanno sentire più alte e determinate e incrementano la percezione del potere. I tacchi sono utilissimi quando vogliamo sentirci più sicure e determinate e vogliamo stabilire relazioni di influenza. Sì, a colori vivaci e energetici che mettono di buonumore e comunicano grinta e positività. Sì, agli abiti che meglio comunicano la nostra identità e che ci fanno sentire al massimo.

Particolare attenzione agli accessori, come orecchini collane e occhiali, che comunicano originalità, unicità, illuminano il volto e danno movimento. Importante la cura dei capelli, il rossetto e l’enfasi sugli occhi. Mai dimenticare che anche la testa e i capelli sono un modo efficace per comunicare chi siamo.

Vuoi sentirti attraente e alla moda nelle tue serate?

Tacchi, monili, colori e abiti ti saranno utili. Trova ogni tanto l’occasione per organizzare una cena particolare per la quale vestirti elegante, o un aperitivo on line con le amiche nel quale sfoggiare un look originale. I tacchi sono indubbiamente un simbolo erotico e aiutano a sentirsi più seduttive e attraenti e a non dimenticare la seduzione e la sessualità. Non dimenticare mai la cura dell’intimo, anche se gli altri non lo vedono, tu sai di averlo. Difficile sentirsi sexy con i mutandoni contenitivi alla Bridget Jones!

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By Paola Pizza, 4 Dicembre 2020 Psicologa, iscritta all'Ordine degli Psicologi della Toscana, dal 1992 si occupa di psicologia della moda. È autrice di diversi libri sulla psicologia della moda. È coordinatrice didattica del Master on line in Psicologia della moda e dell'immagine di ESR Italia.È stata professore a contratto di Psicologia Sociale e Teoria e tecniche del colloquio psicologico alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Firenze, e di Psicologia sociale della moda e di Psicologia dei consumi di moda al Polimoda.

Paola Pizza

Psicologa, iscritta all'Ordine degli Psicologi della Toscana, dal 1992 si occupa di psicologia della moda. È autrice di diversi libri sulla psicologia della moda. È coordinatrice didattica del Master on line in Psicologia della moda e dell'immagine di ESR Italia.È stata professore a contratto di Psicologia Sociale e Teoria e tecniche del colloquio psicologico alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Firenze, e di Psicologia sociale della moda e di Psicologia dei consumi di moda al Polimoda.

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Paola Pizz

Ciao, sono Paola Pizza, psicologa della moda.
Nel lavoro ho unito due grandi passioni: la psicologia e la moda.
Iniziamo insieme un viaggio tra i significati profondi della moda.

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